Alla fine ho spento. Poi ho capito che quella nausea da bolo galleggiante nello stomaco arrivava proprio da lì, da quell'ennesimo scempio televisivo. E ancora inutilmente mi domando per quale oscura ragione seduti in quello studio televisivo, con tanto di mega schermo e filmati, insieme a esperti opinionisti e musichette ad hoc, non ci fossero i rappresentanti di qualche "indignato". Mi domando ancora perché non siano stati interpellati loro, proprio gli indignati, che sembrano - nella cronaca di questi giorni - essersi dissolti come pulviscolo al vento dopo la scenografica e ben più "telegenica" comparsata di mentecatti incappucciati. Perché non sono stati invitati dunque, negli innumerevoli salotti televisivi, magari per interrogarli sul perché si trovassero a Roma il 15 ottobre, probabilmente dopo aver viaggiato di notte per otto ore filate o anche più (come hanno fatto una coppia di cari amici) per arrivare puntuali a destinazione ed essere pronti a sfilare; per chiedere loro quali valori intendessero proclamare, difendere ed esprimere con tutta l'onestà, la fiducia, la determinazione; per sapere come soprattutto debbano essersi sentiti dopo che duecento, trecento o quanti diavolo dementi si sono infilati come lombrichi nel loro corteo e, in una delirante violenza, hanno dato alle fiamme oltre a macchine e cassonetti, anche la fatica e il lavoro di centinaia di migliaia di altri cittadini. Ospiti del sedicente giornalista erano invece famigliari di alcuni degli individui arrestati per le violenze suddette, ovviamente tutti a domandarsi come fosse possibile che giovani tanto brillanti, gioviali e di buona creanza fossero stati addirittura trattenuti in carcere. Sullo sfondo, manco a dirlo, la foto del ragazzo con l'estintore, ormai divenuto una mostruosa celebrità, prossimo a comparire tra le poltrone di Porta a Porta. Mi domando infine cosa ci sto a fare io in aula; cosa ci stanno a fare le mie parole sulla dignità, sulle buone regole, sul rispetto e la lealtà. Se "il pubblico dovere di cronaca" risiede nel regalare celebrità alla brutalità e all'ignoranza, o nell'applaudire alla violenza sbraitata come un rigurgito assordante, allora è davvero ridicolo sorprendersi nel sentire un adolescente esultare all'idea di andare a "comprarsi un tirapugni". Quando "il pubblico dovere di cronaca" consiste nel rimandare a ripetizione le immagini dello schianto di una giovane vita sull'asfalto, senza neppure badare che quel corpo ribaltato e travolto da una moto è il corpo di una vita che appunto si spezza e per la quale dovrebbero esserci solo silenzio e rispetto, mi domando qual è il senso del rispetto per la vita che stiamo consegnando ai giovani.
Anche le mie gru arrossiscono dalla vergogna. Tutte quelle che mi restano da piegare. Novecentoventuno.
Impiego circa 2 minuti per piegare una gru. Fare origami non è solo piegare la carta; è anche un atto di silenzio interiore, fra me e un foglio che si trasforma in pieghe sempre più minute. L’8 ottobre 2011 ho iniziato a piegare mille gru di carta: a queste mille se ne sono aggiunte altre mille, che sono diventate un progetto a scuola per la Pace. Questo blog raccoglie i pensieri nati con gli origami: è una pausa che ci doniamo e che offriamo a chi vorrà fermarsi a piegare un’altra gru con noi.
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